«NOI PRETI ABBIAMO REGALATO LA NOSTRA LIBERTÀ, NON A UN UOMO, MA A DIO»
Genova, 04-07-2022
LETTERA APERTA AL CLERO GENOVESE
DIFENDERSI DALL’ABUSO DI AUTORITÀ DEL VESCOVO E DEI SUOI VICARI È DOVERE DI OBBEDIENZA
Il mio nome è Paolo Farinella, prete della diocesi di Genova. Avendo compiuto a maggio 2022 anni 75 (1° novembre 50° di ordinazione), a norma di legge, ho dato la mia disponibilità al vescovo e, con mia sorpresa, mi ha confermato in San Torpete. A 75 anni si è saggi per natura, veri per scelta, fedeli per convinzione. Da circa due anni, cerco di aiutare il Vescovo a conoscere meglio la sua Diocesi, mettendolo anche in guardia da rischi ed errori, data la particolarità di Genova e del clero. Per ora nessun risultato, perché il vescovo e suoi vicari sono un muro di gomma. Con le loro scelte improvvisate dimostrano di non conoscere la diocesi né i preti di cui non hanno rispetto perché li trattano come mandrie di pecore. Vescovo e vicari stanno spostando i preti a branco di 20 e 30 per volta, come se si trattasse di una transumanza, non di persone, di cui non conoscono vita, situazioni, gioie e dolori, difficoltà e caratteristiche così come non conoscono le esigenze delle comunità di destinazione.
Il vescovo e i suoi vicari spostano i preti a caso: a chi tre parrocchie, a chi quattro, a chi dieci, contro ogni criterio pastorale che esige discernimento e vicinanza. A Genova si consuma l’esercizio dell’autorità in maniera illegittima, al di fuori della legge canonica, disobbedendo alle forme prescritte dal Diritto stesso. Purtroppo, il vescovo e i suoi vicari, di fronte alle difficoltà che alcuni preti esprimono per le imperiose imposizioni di trasferimento, ricorrono al criterio dispotico dell’«obbedienza» come sottomissione passiva a qualsiasi decisione, anche non motivata, e senza coinvolgimento degli interessati. Scrivendo della «virtù», Aristotele la definisce come abilità nella ricerca del «bene comune»; ne consegue che l’obbedienza non può essere soggezione e conformismo.
Analizzando il pensiero del filosofo, si evince l’obbedienza come moderazione dell’autosufficienza (ARISTOTELE, Etica Nicomachea, 2 voll. Rizzoli, Milano 1986, vol. I, 143 (1103a, 18-19 e 109 1098a, 15-18).
L’obbedienza cieca non è una virtù, ma «una malattia mentale». Dopo la Seconda guerra mondiale, a
Norimberga e a Gerusalemme furono condannati uomini che hanno cercato di giustificare i loro orrendi crimini come «obbedienza agli ordini ricevuti». Il Catechismo della Chiesa Cattolica dichiara.
«L’autorità è esercitata legittimamente soltanto se ricerca il bene comune del gruppo considerato e se, per conseguirlo, usa mezzi moralmente leciti. Se accade che i governanti emanino leggi ingiuste o prendano misure contrarie all’ordine morale, tali disposizioni non sono obbliganti per le coscienze. «In tal caso, anzi, chiaramente l’autorità cessa di essere tale e degenera in sopruso [Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, 51: AAS 55 (1963) 271]» (Catechismo Chiesa cattolica n. 1903).
Noi preti non siamo carabinieri, il cui motto è «Usi ad ubbidir tacendo e tacendo morir», noi siamo uomini liberi, creati liberi da Dio e chiamati a libertà per restare liberi (Gal 5,1). Nello stesso tempo abbiamo scelto di contemperare la nostra autonomia individuale, promettendo «riverenza e obbedienza» ai vescovi «pro tempore». Ne consegue che l’obbedienza è la virtù dell’equilibrio tra libertà individuale e senso ecclesiale.
Ne siamo consapevoli: non possiamo fare quello che vogliamo perché scegliendo di essere preti abbiamo regalato la nostra libertà, non a un uomo, ma a Dio. Questo dono però deve essere custodito da chi esercita l’autorità con rispetto della dignità di «figli». La lettera agli Efesini è inequivoca: «Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore… E voi, padri, non esasperate i vostri figli» (Ef 6,1.4; Col 3,21). Scrive il monaco Enzo Bianchi:
I «preposti (epískopoi)… hanno l’incarico di essere… occasione di obbedienza… sono e restano servi (diákonoi)… hanno… un’autorevolezza conferitagli dalla saldezza nella fede e dalla capacità di misericordia. Ecco ciò su cui va misurata la loro autorità! Guai invece a chi presiede e pensa che l’obbedienza gli sia dovuta; guai a chi presiede e instaura una relazione di asservimento…; guai a chi comanda ma senza ascoltare, senza mai rispondere alle domande della comunità e senza
riconoscere il fratello o la sorella più demuniti nella parola e spesso piccoli, semplici, fragili; guai a chi presiede minacciando sanzioni…» (ENZO BIANCHI, «L’obbedienza è una virtù a certe condizioni», in Jesus, marzo 2021).
In nome della coscienza, impegnata dall’obbedienza, I PRETI HANNO NON SOLO IL DIRITTO, MA
IL DOVERE DI USARE GLI STRUMENTI CHE LA CHIESA METTE A LORO DISPOSIZIONE per aiutare
l’autorità a esercitare il «munus» in modo corretto, evangelico e secondo legalità. Ribellarsi non è insubordinazione, ma obbedienza alla Chiesa che tutela chi è sottoposto dai soprusi di chi esercita l’autorità in maniera distorta.
APPELLO AI PRETI DELLA DIOCESI DI GENOVA
Ho scritto al vescovo e i suoi vicari, avvertendoli di questo appello. A voi, preti, vorrei dire che la Chiesa
tutela il vostro diritto di opporvi a qualsiasi forma di autoritarismo, prevaricazione e imposizione, rifiutando i trasferimenti forzati e imposti, appellandovi al rispetto della Legge canonica e ricorrendo anche alla Santa Sede, personalmente o in gruppo. Io, Paolo Farinella, prete, sono a disposizione per sostenervi in questo cammino di giustizia. Il Dicastero del clero ha il compito di proteggere e difendere la dignità e i diritti dei singoli preti. Offro assistenza biblica, teologica e giuridica per ragionare insieme, anche on-line, in vista di decisioni comuni come preti. Non abbiate paura! «Noi non siamo figli di una schiava, ma della donna libera» (Gal 4,31).
(Paolo Farinella, prete)
Cell. 3343533870 – E-mail: paolo@paolofarinella.eu